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Pantelleria, tra zibibbo e muretti a secco

Conoscere per quanto possibile Pantelleria significa avere visto i terrazzamenti, i giardini panteschi, le piante di capperi, i dammusi, le viti ad alberello che suscitano istintivamente protezione. I venti che schiaffeggiano la costa rendono la viticoltura sempre sfidante, la scarsità di acqua e il caldo africano contribuiscono a rendere la terra un atto estremo.

La “figlia del vento” come la chiamarono gli arabi, è un’isola nera e frastagliata, piena di luce, ma anche di buio con i suoi crateri (cuddie) e le favare, getti d’acqua che ricordano i geyser islandesi: non ha tradizioni ittiche, piuttosto l’agricoltura è sempre stata la sua vocazione.

La realizzazione del passito si presenta come uno dei metodi più antichi applicati al vino, ovvero quello di aggiungere uva passa al mosto, come recitavano i versi di Omero. Dopo migliaia di anni, la sinfonia gusto olfattiva del passito è rimasta la stessa: arancia candita, albicocca disidratata, dattero, fico, carruba e cioccolato, ovvero la sinfonia aromatica del vino passito

A Pantelleria le uve risentono molto del territorio, ovvero vento, sole, mare, terreni e mano dell’uomo, che protegge le  viti ad alberello di zibibbo (moscato di Alessandria), rintanandole in conche scavate nel terreno per mitigare l’impeto del vento sferzante e della grande calura. Una coltivazione così pregiata da essere la prima pratica agricola riconosciuta patrimonio culturale dell’Unesco. Un mix di culture si è susseguita sull’isola, ognuna delle quali ha dato un contributo: l’uva zibibbo si dice sia di derivazione egizia e fu diffusa poi dai romani, ma soltanto con gli arabi conobbe fortuna grazie alla pratica dell’essicazione. La coltivazione a terrazzamento sull’isola siciliana è invece opera dei Fenici e ancora oggi i muretti a secco delineano i confini agricoli degli appezzamenti: tra quelli in uso e quelli abbandonati se ne contano 12 mila chilometri. A Pantelleria lo zibibbo ha trovato un habitat vulcanico fatto di terreni sciolti ricchi di pomice e sabbia: i terrazzamenti ne evitano lo scivolamento. Sono poi i grappoli provenienti dalle zone più vicine al mare e sotto i 100 metri di altitudine quelli che vengono appassiti.

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