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Vino ed anfore dalla Georgia all’Italia

La terracotta è il materiale più antico della storia associato al vino.  Vino e terracotta hanno un legame che dura fin da tempi antichissimi, già in Magna Grecia gli uomini utilizzavano le anfore per mantenere le caratteristiche del vino, questo perché la terracotta è un elemento naturale ben isolante, che permette di non alterare le caratteristiche chimiche e fisiche del vino. Ci sono tracce di elementi legati al vino in giare di 6.000 a.C.

Così Anfore, Qvevri, Tinajas, Talhas, Karas, giare di terracotta sono tornate in voga nell’enologia moderna.

Le anfore utilizzate dai produttori di tutto il mondo vinicolo moderno provengono principalmente da tre zone: Georgia, Spagna e Italia, e ogni anfora possiede ha caratteristiche specifiche legate alle tecniche di produzione e alla qualità delle argille indigene. 

La Georgia è il solo territorio nel mondo dove non si è mai smesso di produrre giare per fermentare il mosto ed affinare, e nel 2013 il metodo tradizionale di vinificazione in Qvevri è stato inscritto nella lista Unesco del Patrimonio Immateriale dell’Umanità. La conoscenza di questo patrimonio è stato tramandato dalle famiglie, dai vicini e dagli amici, tutti coloro che partecipano alle attività condivise di vendemmia e vinificazione.

La viticultura georgiana è imprescindibilmente legata ai Qvevri e la capacità, che varia tra i 100 e i 4.000 litri, si attesta mediamente intorno ai 1.000 litri. Il Qvevri è fatto per durare: non è raro trovare esemplari di oltre due secoli ancora in uso. I primi risalgono a circa 8.000 anni fa, in epoca pre-romana, e differiscono dalle anfore per non essere dotati di manici e per essere destinati all’interramento, non sono smaltati ma vengono ricoperti all’interno da un sottile strato di cera d’api al fine di limitare l’evaporazione e lo scambio con l’ambiente esterno, e dopo essere stati avvolti esternamente con uno strato di calce, sono interrati in ambienti coperti, anche se non è escluso il posizionamento all’aperto. Questa pratica garantisce il mantenimento della temperatura sia in fase di fermentazione che in fase di maturazione e affinamento.

In Italia il precursore indiscusso dei vini con fermentazione in anfora è stato Joško Gravner, che nel 1996 fece il suo primo esperimento di vinificazione della ribolla con lunga macerazione sulle bucce, utilizzando come contenitore un’anfora procurata da un amico georgiano. Il ’96 segna un punto di svolta, due disastrose grandinate estive lasciano in pianta solo il 5% della produzione di quell’anno, da qui l’idea di utilizzare il raccolto per sperimentare la fermentazione in Qvevri.

Il processo di vinificazione prevede che, dopo una soffice pigiatura, il mosto sia messo nei Qvevri. La fermentazione alcolica inizia spontaneamente con l’azione dei lieviti indigeni; durante questa fase, di una decina di giorni circa, il Qvevri rimane aperto per consentire all’anidride carbonica di uscire dal recipiente e permettere di spingere sul fondo il cappello di vinacce a favore dell’estrazione dei polifenoli e delle altre componenti presenti nelle vinacce. La temperatura di fermentazione viene controllata naturalmente; è il fresco della terra nella quale le anfore sono interrate che la mantiene relativamente bassa. A fermentazione conclusa, le vinacce si depositano sul fondo restando, solo in piccola parte grazie alla particolare forma del Qvevri, a contatto con il vino. I Qvevri sono riempiti fino all’orlo con altro vino della medesima tipologia; un semplice coperchio viene appoggiato sopra l’apertura fino al completamente della successiva fermentazione malolattica.

In Spagna, la tradizione di vinificare e stoccare il vino in grandi anfore chiamate Tinajas è ancora viva in alcune regioni e richiama l’interesse di diversi vignaioli. Le due principali regioni sono l’Andalusia e la comunità autonoma di Castilla-La Mancha. È proprio in questa regione che, a partire dal diciassettesimo secolo, nasce un’industria ceramica molto importante, legata allo sviluppo dei vigneti e responsabile della produzione di quantità considerevoli di Tinajas fino all’inizio del ventesimo secolo. I due centri di produzione erano, all’epoca, Valdepenas e, soprattutto, Villarobleso (odierna Villarrobledo), dove quest’arte è attiva ancora oggi. Le più grandi Tinajas prodotte nel diciannovesimo secolo vantavano una capacità di circa 70-80 hl per un’altezza di più di 3 metri, spesso ricoperte da uno strato di pece.

In Italia, fatta eccezione per la piccola produzione dei Capasuni di Grottaglie in Puglia (utilizzati da secoli sia per lo stoccaggio e la mescita che per la fermentazione e l’affinamento), non abbiamo la stessa storia della Georgia e della Spagna per la produzione di giare da vino in terracotta. 

Le anfore sono studiate per non contaminare il vino e con una miscela di argille che permetta la migliore ossigenazione possibile; affinché le anfore non risultino asfittiche ma anzi, pur lavorando bene come il legno, non cedano al vino gusti vanigliati o tostati.

Per alcuni produttori il ritorno all’argilla offre grandi possibilità di studio e la riscoperta del metodo di fermentazione con le bucce sia nei bianchi che nei rossi avvicina in modo indissolubile il mondo del vino naturale ai vini fermentati in anfora, il tannino dona stabilità e longevità così da non dover aggiungere nulla per preservarlo nel tempo.

Anfora ad ovetto con tappo colmatore in vetro.

Il tappo colmatore ha tre fondamentali funzioni:
permette di colmare le anfore senza ‘aprire’ e quindi limitando l’esposizione all’ossigeno;
osservando la prima ‘bolla’ ci permette di capire se il vino presente nel tino si sta ritirando o espandendo e quindi se bisogna togliere o aggiungere;
funge da gorgogliatore durante la fermentazione.

Il tappo colmatore si mette nel ‘cocchiume’ (il foro che c’è sulle anfora per poterli riempire) e vi si versa il vino fino a riempire per metà la prima ‘bolla’.  Ad incastro si mette il contenitore dell’acqua (che viene cambiata ogni 2 giorni circa per evitare l’accumulo di batteri) e si chiude con il suo tappo. In questo modo i gas emessi durante fermentazione hanno una via di uscita, facendo gorgogliare l’acqua nel tappo colmatore appunto, ma non facendo entrare aria all’interno.

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